Gli antagonisti recettoriali dell’aldosterone (MRA) costituiscono uno dei pilastri del trattamento dello scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta (HFrEF); inoltre, il trattamento con MRA migliora la prognosi nei pazienti con pregresso infarto miocardico e frazione di eiezione ridotta, come dimostrato, ormai oltre 20 anni fa, dallo studio EPHESUS (Eplerenone Post-Acute Myocardial Infarction Heart Failure Efficacy and Survival Study). Non è ancora tuttavia chiaro se l’antagonismo recettoriale dell’aldosterone sia di beneficio in tutti i pazienti dopo una sindrome coronarica acuta, a prescindere dalla frazione d’eiezione; tentativi di migliorare la prognosi di questa popolazione con un’ulteriore inibizione dell’asse renina-angiotensina-aldosterone non hanno avuto successo1,2.
In precedenza, lo studio ALBATROSS (Aldosterone Lethal Effects Blockade in Acute Myocardial Infarction Treated withor without Reperfusion to Improve Outcome and Survival at Six Months Follow-Up) ha randomizzato pazienti con infarto miocardico senza insufficienza cardiaca a ricevere spironolattone o placebo, senza tuttavia dimostrare una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari; una sottoanalisi ha suggerito un potenziale beneficio nei pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI)3. Infine, un ulteriore studio randomizzato su pazienti con STEMI senza insufficienza cardiaca ha mostrato come l’eplerenone abbia ridotto i livelli di NT-pro-BNP4.
Questi studi, tuttavia, erano sottodimensionati per rilevare eventuali benefici in termini di morbilità e mortalità.
All’interno di questo filone di ricerca si inserisce lo studio CLEAR SYNERGY (OASIS 9), i cui risultati nel braccio spironolattone del trial sono stati recentemente presentati al congresso dell’American Heart Association 20245.
I partecipanti erano pazienti con infarto miocardico acuto indirizzati a angioplastica percutanea (PCI); i pazienti con disfunzione LV erano ammessi, ma non quelli con HFrEF clinicamente evidente.
I pazienti sono stati randomizzati 1:1 a ricevere spironolattone 25 mg (n = 3.537) o placebo (n = 3.525) dopo PCI. Inizialmente sono stati considerati eleggibili da protocollo solo i pazienti con diagnosi di STEMI e rivascolarizzazione coronarica precoce; successivamente, per aumentare il reclutamento, anche in considerazione del basso tasso di eventi registrati durante la conduzione del trial, sono stati arruolati anche pazienti con infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) sottoposti ad angioplastica e con uno o più fattori di rischio: frazione di eiezione ventricolare sinistra non superiore al 45%, diabete mellito, malattia coronarica multivasale, precedente sindrome coronarica acuta, età superiore a 60 anni.
I pazienti sono stati seguiti per un follow-up medio di tre anni.
Con la stessa coorte, gli investigatori hanno condotto un’analisi separata sulla colchicina a cui i pazienti erano randomizzati secondo lo schema 2×2, non trovando però effetti nel ridurre la morte CV, l’infarto miocardico, l’ictus o la rivascolarizzazione correlata a ischemia a 5 anni6.
L’età media dell’intera coorte era di poco superiore ai 60 anni, con circa il 20% di donne e il 95% di pazienti con STEMI. La prevalenza di diabete era di circa il 18% , mentre quella di infarto miocardico pregresso di circa il 9%. Volutamente, durante lo studio non è stato tenuto conto della frazione d’eiezione.
I pazienti in generale assumevano farmaci come aspirina e statine. L’inibitore P2Y12 più frequentemente prescritto era ticagrelor (45%), seguito da clopidogrel (42%) o prasugrel (%).
Lo spironolattone ,rispetto a placebo, non ha raggiunto i due endpoint primari nell’analisi “intention-to-treat”:
- Morte per cause cardiovascolari (CV) o scompenso cardiaco (HF) de novo/peggioramento: 1,7% vs 2,1%, HR 0,89 (95% CI 0,73-1,08)
- Morte per cause CV, infarto miocardico, ictus o scompenso cardiaco (HF) de novo/ peggioramento: 7,9% vs 8,3%, HR 0,95 (95% CI 0,80-1,12).
Tuttavia, uno dei componenti di uno degli endpoint primari, lo scompenso cardiaco de novo o il peggioramento dello stesso, è stato ridotto di circa un terzo nel gruppo trattato con spironolattone, il che è risultato statisticamente significativo (1,6% vs 2,4%; HR, 0,69; 95% CI 0,49-0,96); il beneficio dello spironolattone sembrava pertanto essere guidato dalla riduzione degli eventi correlati allo scompenso cardiaco.
Durante lo studio si è osservato un alto tasso di interruzione del trattamento assegnato (28,0% del gruppo spironolattone vs 24,4% del placebo); un’analisi “on-treatment”, però, con i limiti interpretativi noti, ha suggerito effetti statisticamente significativi per il braccio spironolattone:
- Morte per cause cardiovascolari (CV) o scompenso cardiaco (HF) de novo/ peggioramento: 1,5% vs 2,0%, HR 0,79 (95% CI 0,63-1,00)
- Morte per cause CV, infarto miocardico, ictus o scompenso cardiaco (HF) de novo/ peggioramento: 5,8% vs7,2%, HR 0,83 (95% CI 0,69-1,00)
Per quanto riguarda la sicurezza, gli eventi avversi gravi sono stati comunque simili tra i gruppi di studio (7,2% vs 6,8%). L’iperkaliemia, con conseguente interruzione del trattamento, è stata più comune nel gruppo spironolattone rispetto al gruppo placebo (1,1% vs 0,6%), così come la ginecomastia (2,3% vs 0,5%).
Questo studio rappresenta quindi il tentativo di testare l’antagonismo recettoriale dell’aldosterone nel contesto dell’attuale terapia delle sindromi coronariche acute.
Non è stato possibile dimostrare una riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori avversi (MACE) e della morte per CV; sebbene gli eventi correlati allo scompenso cardiaco – comunque generalmente contenuti nell’intera coorte – fossero inferiori in numero assoluto nel braccio spironolattone, è possibile, come affermano gli autori, che i progressi nel trattamento dell’infarto miocardico con la rivascolarizzazione precoce abbiano ridotto il potenziale beneficio dello spironolattone. Questo studio non supporta quindi un’indicazione estesa per questi agenti oltre la disfunzione sistolica ventricolare sinistra post-ischemica.
In conclusione, dimostrare l’efficacia di un intervento farmacologico e terapeutico nelle popolazioni attuali dei pazienti ischemici o con scompenso cardiaco rappresenta una sfida sempre più complessa, essendo la prognosi drammaticamente migliorata negli ultimi 20 anni, con un numero di eventi significativamente ridotto. Sarà in futuro utile capire se l’effetto dell’inibizione MRA nel post-infarto e nella prevenzione dello scompenso cardiaco sia da considerarsi un effetto di classe, e quindi potenzialmente estendibile anche agli antialdosteronici non steroidei come Finerenone, gravati da un numero inferiore di effetti collaterali rispetto a spironolattone, che potrebbero aver influenzato gli elevati tassi di sospensione del farmaco nel braccio trattamento dello studio CLEAR.
Bibliografia:
1. Pfeffer MA, McMurray JJV, Velazquez EJ, et al. Valsartan, Captopril, or Both in Myocardial Infarction Complicated by Heart Failure, Left Ventricular Dysfunction, or Both. N Engl J Med. 2003;349(20):1893-1906.
2. Pfeffer MA, Claggett B, Lewis EF, et al. Angiotensin Receptor–Neprilysin Inhibition in Acute Myocardial Infarction. N Engl J Med. 2021;385(20):1845-1855.
3. Beygui F, Cayla G, Roule V, et al. Early Aldosterone Blockade in Acute Myocardial Infarction The ALBATROSS Randomized Clinical Trial. J Am Coll Cardiol. 2016;67(16):1917-1927.
4. Montalescot G, Pitt B, Sa EL de, et al. Early eplerenone treatment in patients with acute ST-elevation myocardial infarction without heart failure: The Randomized Double-Blind Reminder Study. Eur Hear J. 2014;35(34):2295-2302.
5. Jolly SS, d’Entremont MA, Pitt B, et al. Routine Spironolactone in Acute Myocardial Infarction. N Engl J Med. Published online 2024.
6. Jolly SS, d’Entremont MA, Lee SF, et al. Colchicine in Acute Myocardial Infarction. N Engl J Med. Published online 2024.