By-pass o angioplastica nella cardiomiopatia ischemica severa? Lo studio Stitch

Scritto il 05/11/2024

La cardiopatia ischemica rappresenta la principale causa di insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta (HFrEF): nonostante i miglioramenti nelle attuali terapie mediche e di rivascolarizzazione, la prognosi a lungo termine per questa condizione rimane riservata, con il 43% e il 65% dei pazienti deceduto rispettivamente a 5 e 10 anni. [1]

La strategia migliore del trattamento della cardiopatia ischemica e HFrEF rimane ancora oggetto di dibattito. Le linee guida per l’insufficienza cardiaca della Società Europea di Cardiologia (ESC) attribuiscono una raccomandazione di Classe IIa a supporto dell’intervento di bypass coronarico (CABG) come trattamento di prima scelta nei pazienti con malattia coronarica multivasale e HFrEF, mentre l’intervento coronarico percutaneo (PCI) può essere preso in considerazione come terapia alternativa (Classe IIb). [2]

Mancano tuttavia studi clinici contemporanei che valutino la strategia di trattamento ottimale per questa popolazione di pazienti, con dati adeguati sui risultati a lungo termine. Sono stati condotti solo due studi randomizzati per valutare l’efficacia della rivascolarizzazione, mediante CABG o PCI, rispetto alla sola terapia medica nell’HFrEF ischemico, ma non vi sono analisi che paragonino direttamente le due strategie terapeutiche.

Lo studio STITCH (Surgical Treatment for Ischemic Heart Failure),  ha confrontato la terapia medica con il CABG non sono emerse differenze tra i due approcci terapeutici per la mortalità per tutte le cause a 56 mesi di follow-up. Il follow-up esteso della coorte STICH, ad una mediana di 9,8 anni, ha riscontrato un miglioramento dei tassi di sopravvivenza globale nei soggetti trattati con CABG (HR = 0,78, IC 95% 0,66-0,93, P = 0,006). [3] Lo studio REVIVED-BCIS2 (The Percutaneous Revascularization for Ischemic Left Ventricular Dysfunction),  ha confrontato la PCI con la terapia medica ottimale contemporanea.  Non vi era una riduzione della mortalità per tutte le cause o del ricovero per insufficienza cardiaca (HR = 0,99, IC 95% 0,78–1,27, P = 0,96) ad un follow-up mediano di 3,4 anni. Tuttavia, durante il follow-up è stato riportato un aumento dei tassi di infarto miocardico spontaneo nel braccio di terapia medica. I dati sugli outcomes del REVIVED-BCIS2 fanno emergere nel tempo un beneficio in termini di sopravvivenza con la PCI, simile a quello osservato nel follow-up esteso dello studio STICH. [4] [5]

Recentemente  i registri dell’ Australian and New Zealand Society of Cardiac and Thoracic Surgeons e del Melbourne Interventional Group (dal gennaio 2005 al 2018), hanno fotografato nuovamente la situazione. Hanno  analizzato 2042 pazienti con cardiomiopatia ischemica grave [frazione di eiezione ventricolare sinistra (LVEF) <35%], rispettivamente 1451 sottoposti a CABG isolato e 591 a PCI. (EHJ il 30 Ottobre 2024). [6]

Dopo l’aggiustamento del rischio e propensity score, i pazienti trattati con CABG hanno presentato una mortalità a lungo termine ridotta  rispetto a quelli trattati con PCI  [hazard ratio aggiustato 0,59, intervallo di confidenza (CI) al 95% 0,45-0,79; P = 0,001] in un periodo di follow-up mediano di 4 anni. Non è stata riscontrata alcuna differenza tra i gruppi in termini di mortalità intraospedaliera [odds ratio aggiustato (aOR) 1,42, IC 95% 0,41–4,96, P = 0,58], ma è stato riscontrato un aumento del rischio di ictus peri-procedurale (aOR 19,6; IC 95% 4,21–91,6, P < 0,001) e aumento della durata della degenza ospedaliera (coefficiente esponenziale 3,58; IC 95% 3,00–4,28, P < 0,001) nei pazienti trattati con CABG.

L’analisi presenta alcuni limiti come, ad esempio, la non disponibilità di dati sulla gravità anatomica della malattia coronarica o confronti basati sul punteggio SYNTAX, o sulla completezza angiografica della rivascolarizzazione o la presenza di malattia diffusa.

Questa analisi è il primo studio  a sottolineare i benefici in termini di sopravvivenza a lungo termine attribuiti alla CABG nei pazienti con HFrEF ischemico a scapito di maggiori eventi avversi intraospedalieri. Saranno necessari futuri studi randomizzati controllati per confermare l’effetto di tali benefici.

Bibliografia:

  1. Jones   NR, Roalfe   AK, Adoki   I, Hobbs   FDR, Taylor   CJ. Survival of patients with chronic heart failure in the community: a systematic review and meta-analysis. Eur J Heart Fail  2019;21:1306–25
  • McDonagh   TA, Metra   M, Adamo   M, Gardner   RS, Baumbach   A, Böhm   M, et al.   2021 ESC guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure. Eur Heart J  2021;42:3599–726
  • Eric J. Velazquez, M.D., Kerry L. Lee, Ph.D., Marek A. Deja, M.D., Ph.D., Anil Jain, M.D., George Sopko, M.D., M.P.H., Andrey Marchenko, M.D., Ph.D., Imtiaz S. Ali, M.D. for the STICH Investigators, Coronary-Artery Bypass Surgery in Patients with Left Ventricular Dysfunction; April 28, 2011; N Engl J Med 2011;364:1607-1616
  • Perera   D, Clayton   T, O’Kane   PD, Greenwood   JP, Weerackody   R, Ryan   M, et al.   Percutaneous revascularization for ischemic left ventricular dysfunction. N Engl J Med  2022;387:1351–60
  • Kirtane AJ. REVIVE-ing a weak heart—details matter. N Engl J Med  2022;387:1426–7
  • Jason E Bloom, Sara Vogrin, Christopher M Reid, Andrew E Ajani, David J Clark, Melanie Freeman, Chin Hiew, Angela Brennan, Diem Dinh, Jenni Williams-Spence, Luke P Dawson, Samer Noaman, Derek P Chew, Ernesto Oqueli, Nicholas Cox, David McGiffin, Silvana Marasco, Peter Skillington, Alistair Royse, Dion Stub, David M Kaye, William Chan, Coronary artery bypass grafting vs. percutaneous coronary intervention in severe ischemic cardiomyopathy: long-term survival, European Heart Journal, 2024;, ehae672