Ricordo sempre quel collega che al secondo anno di università, durante le esercitazioni di anatomia che ci facevano provare la prima suggestione di indossare il camice bianco e di infilarsi i guanti chirurgici per poter toccare e sezionare, ahimè, pezzi di cadavere; egli si vestiva di tutto punto, ma non toccava nulla, guardava con evidente ribrezzo il nostro impegno e immagino non vedesse l’ora che quel tormento finisse. Il suo comportamento aveva uno strascico, direi felliniano: ritornato finalmente in borghese e uscito dall’Istituto di Anatomia lo vedevamo avviarsi verso casa con le braccia discoste dal corpo e le mani aperte, come per scrollarsi di dosso il contagio, che non era avvenuto. Lo persi di vista, ma mi sarebbe piaciuto sapere quale indirizzo prese poi nella sua carriera: se lo cambiò o riuscì a vincere il contatto fisico, che nell’arte medica si intreccia con quello psichico, con l’empatia, come nel matrimonio.
Leggo oggi la notizia su Adnkronos Salute che un terzo dei medici italiani andrebbe subito in pensione. Soprattutto i giovani: il 25% dei medici fra i 25 e i 34 anni e il 31% di quelli fra i 35 e i 44 anni. Per fare poi cosa? Cambiare mestiere, darsi all’agricoltura, andare alle Maldive, o vivere di pensione? Non è stato loro chiesto in quell’indagine condotta dall’Istituto Piepoli su proposta dell’Ordine dei Medici Nazionale ai 500 medici di differenti categorie: di base, ospedalieri e specialisti vari. Il tutto concepito in considerazione dello stress che effettivamente molti di loro hanno subito a causa della pandemia Covid-19. Uno stress che è stato dichiarato dal 90% dei medici del territorio, 72% degli ospedalieri, 80% degli specialisti ambulatoriali e dal 62% dei dentisti. Dice il Presidente Filippo Anelli che questa “ecatombe” di medici e tirocinanti appare per “ritmi allarmanti, nei quali la medicina è stata caratterizzata da condizioni di lavoro difficili, oltre a disattenzione del benessere e alla cura di sé stesso da parte del medico”. Infatti, secondo l’Istituto Piepoli il 24% dei medici di continuità assistenziale (territorio e ospedalieri) ha presentato problemi di salute: disturbi del sonno, stress, ansia e paura.
Un quadro di certo allarmante, benché l’indagine non sia molto estesa e il questionario forse non così esauriente come esigerebbero le circostanze eccezionali. Personalmente sono rimasto molto impressionato da quella sintesi, apparentemente frettolosa, secondo la quale un terzo dei medici in servizio sognerebbe la pensione. Chissà cosa pensava questo 33% quando ha scelto di fare il medico? Non vorrei scomodare Ippocrate, ma la medicina non è un mestiere qualsiasi, lasciatemelo dire senza nessun alone romantico, forse è un po’ come fare il prete, il missionario e il carabiniere. Nessuno ce l’ha imposto. Suggerito, raccomandato, ispirato, questo sì, ma dopo aver visto il cadavere quando si inizia l’apprendistato e poi l’uomo che soffre e ti chiede aiuto, dovremmo ricordarci che, “posto mano all’aratro” non dobbiamo più guardare indietro.
Porre rimedio alle circostanze eccezionali da parte degli amministratori della Sanità, questo sì è un dovere politico doppiamente impegnativo, fino ad oggi grandemente trascurato, per impedire il ben noto burn out anglosassone e anche per impedire che lo stress abbia ragione su coloro che attualmente corrono sempre più il pericolo di sentirsi appartenere ai monsù travet.
Eligio Piccolo
Cardiologo