E’ vero che duplice blocco del RAAS – a livello sia di ACE/angiotensina II che di aldosterone – oppure ARNI (Angiotensin Receptor Neprilysin Inhibitor), SGLT2 inibizione (inibitori cotrasporto sodio glucosio) e blocco del recettore beta-adrenergico rappresentano il centro della terapia dello scompenso cardiaco. Tuttavia, una nuova molecola – la cui classe è stata sin qui usata nell’ipertensione polmonare – il vericiguat, è presente nelle Linee Guida, con classe/livello 2b, per i pazienti in classe NYHA II-III-IV nei quali i sintomi persistano o peggiorino e siano già trattati in modo ottimale. In questo gruppo di pazienti il nuovo farmaco può essere preso in considerazione.
Questa indicazione delle Linee Guida nasce dallo studio di fase 3 VICTORIA (Vericiguat Global Study in Subjects with Heart Failure with Reduced Ejection Fraction) (1), condotto in 5.050 pazienti scompensati e con frazione di eiezione inferiore al 45%, randomizzati al trattamento con vericiguat (dose iniziale 2.5 mg al giorno in monosomministrazione quotidiana, dose intermedia 5 mg al giorno, sempre in monosomministrazione quotidiana; dose target: 10 mg una volta al giorno) oppure placebo. L’outcome primario dello studio era un composito di morte per cause cardiovascolari o primo ricovero per insufficienza cardiaca.
L’età media dei pazienti arruolati era di 67 anni, il 24% erano donne; il livello mediano di NT-proBNP era decisamente elevato = 2816 pg/ml. Dato da non trascurare per le future indicazioni: ogni paziente – per entrare nello studio VICTORIA – doveva aver subito un ricovero per scompenso cardiaco entro gli ultimi 6 mesi oppure aver fatto ricorso a diuretici per via endovenosa negli ultimi 3 mesi. Secondo punto da memorizzare: la terapia su cui poi sarebbe stato sovrapposto il vericiguat (o placebo) doveva essere ottimale. Il vericiguat, ne consegue, è una addizione terapeutica, non una sostituzione.
Nel corso di un follow-up mediano = 10,8 mesi, l’endpoint composito primario si è verificato nel 37,9% dei pazienti trattati con vericiguat e nel 40,9% di quelli che trattati con placebo. Le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco hanno riguardato il 27,4% dei pazienti in trattamento attivo e il 29,6% di quelli del gruppo di controllo. La morte per cause cardiovascolari si è verificata nel 16,4% dei pazienti inclusi nel gruppo vericiguat e nel 17,5% di quelli inclusi nel gruppo placebo. Pertanto, il beneficio rilevato per vericiguat è da ascrivere sostanzialmente alla consistente riduzione dei ricoveri per scompenso cardiaco.
Per quanto riguarda la sicurezza del trattamento, lo studio prevedeva due eventi avversi pre-specificati: ipotensione sintomatica e sincope. Il primo si è verificato nel 9,1% dei pazienti del gruppo vericiguat e nel 7,9% dei pazienti del gruppo placebo. Il secondo si è verificato rispettivamente nel 4% e nel 3,5% dei casi. Anemia si è sviluppata più frequentemente nei pazienti del gruppo vericiguat (7,6% versus 5,7%).
Nel paziente con scompenso cardiaco di classe NHYA II-III-IV, pertanto, vericiguat rappresenta una nuova opportunità terapeutica, mirante ad ottenere una significativa riduzione dei ricoveri causati da scompenso cardiaco quando la terapia ottimale son sia sufficiente.
Fonti
1) Armstrong PW, Pieske B, Anstrom KJ et al Vericiguat in Patients with Heart Failure and Reduced Ejection Fraction. N Engl J Med. 2020 May 14;382(20):1883-1893.
Prof. Claudio Ferri
Direttore della Scuola di Medicina Interna
Università degli Studi L’Aquila