Forame ovale pervio e malattia da decompressione: come comportarsi?

Scritto il 14/05/2022

l forame ovale pervio (FOP) è una comune anomalia cardiaca presente in circa il 30% della popolazione generale. È dovuto alla mancata fusione tra le due parti che compongono il setto interatriale nelle fasi dell’embriogenesi ed è responsabile di uno shunt destro-sinistro in condizioni basali o sotto sforzo. Nel caso in cui vi sia la presenza di emboli nel circolo venoso, questi possono attraversare il forame ovale ed arrivare nel circolo sistemico, con il rischio di causare ischemia ai tessuti periferici, compresi cuore ed encefalo.
La malattia da decompressione (MDD) è una condizione, riscontrata abbastanza frequentemente nei sommozzatori, dovuta alla formazione di bolle gassose all’interno dei tessuti e nelle vene periferiche che possono causare ischemia. L’azoto in condizioni di alta pressione, come durante un’immersione ad elevate profondità, è altamente disciolto nei tessuti. In caso di rapida risalita in superficie vi è un brusco calo pressorio con conseguente formazione di bolle d’azoto che si localizzano nei tessuti, prevalentemente nella cute, nei muscoli e nelle vene periferiche. In caso di presenza di FOP le bolle gassose possono passare al circolo arterioso, con un rischio di malattia da decompressione di severa entità maggiore di 2-5 volte rispetto alla popolazione generale.
La presenza di FOP è dunque un problema importante per i sommozzatori e per chi si diletta con le immersioni ad alte profondità e in letteratura non vi sono solide evidenze scientifiche che indicano come comportarsi in queste situazioni.
Recentemente un gruppo di ricercatori della Repubblica Ceca ha pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology uno studio prospettico in cui è stato eseguito uno screening per la ricerca di FOP su una popolazione di 829 sommozzatori e una strategia di stratificazione del loro rischio. I ricercatori hanno eseguito il Color-Doppler Transcranico alla ricerca della presenza di uno shunt destro-sinistro e in base alla presenza e all’entità di quest’ultimo hanno suddiviso la popolazione in esame in quattro sottogruppi: controlli (assenza di FOP; nessuna restrizione nelle immersioni), gruppo con shunt a basso grado (shunt di grado 1 o 2; immersioni conservative1), gruppo con shunt ad alto grado (shunt di grado 3; immersioni conservative), chiusura percutanea del FOP (shunt di grado 3; intervento percutaneo di chiusura del PFO mediante posizionamento di dispositivo intracardiaco). I pazienti sono stati arruolati dal 2006 al 2018 e seguiti al follow-up per un tempo medio di 6.5 anni ed è stata analizzata l’incidenza di MDD prima e dopo l’arruolamento nello studio per ogni sottogruppo dello studio. Lo studio ha dimostrato che sia la chiusura percutanea di PFO, sia l’utilizzo di misure conservative durante le immersioni, riducono in modo significativo l’incidenza di MDD nei soggetti con PFO durante le immersioni. In modo interessante, è stato osservato che la chiusura percutanea di PFO, nella popolazione in studio, è stata la strategia con maggior efficacia nella prevenzione della MDD.
In conclusione, questo studio, nonostante presenti diversi limiti metodologici, dimostra che esistono delle strategie efficaci nella prevenzione della MDD nei soggetti portatori di PFO appassionati di immersioni. Studi multicentrici controllati e randomizzati futuri sono necessari per confermare la riproducibilità di questo approccio.

1Con immersioni conservative si intende la riduzione della profondità, durata e numero di immersioni giornaliere oltre all’utilizzo di bombole con miscele di gas ricche di ossigeno e povere d’azoto.


Bibliografia
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Dott. Mattia Basile
Medico in Formazione Specialistica 
in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare 
presso Università Cattolica del Sacro Cuore Roma