La gestione della terapia antitrombotica dopo chiusura percutanea di auricola sinistra.Gli anticoagulanti rimangono la scelta migliore?

Scritto il 17/12/2024

La chiusura percutanea dell’auricola sinistra (LAAC) rappresenta ormai una valida alternativa alla terapia anticogulante orale per prevenire eventi embolici correlati alla fibrillazione atriale non valvolare. Nella pratica clinica attuale, la LAAC viene proposta principalmente a pazienti altamente comorbidi con un aumentato rischio di eventi sia ischemici che emorragici, questi ultimi che controindicano la terapia anticoagulante orale. Nonostante le caratteristiche di alto rischio di questa popolazione, il successo procedurale e la prevenzione a lungo termine degli eventi ischemici dopo LAAC sono stati eccellenti; tuttavia soprattutto nei primi sei mesi dopo l’impianto esiste un rischio di trombosi del device (DRT), la cui prevenzione richiede un adeguato trattamento antitrombotico.

Esistono notevoli variazioni nel tipo e nella durata dei regimi antitrombotici dopo la procedura, che dipendono in parte dai paesi in cui il dispositivo viene impiantato ed in parte della indicazione date dai trial registrativi dei device per la loro approvazione nella pratica clinica. Ad esempio negli Stai Uniti la FDA ha approvato un regime che prevede l’impiego di warfarin e aspirina per i primi 45 giorni dopo l’impianto, una successiva descalation a doppia terapia antiaggregante piastrinica (DAPT) fino a 6 mesi dopo la procedura ed infine una monoterapia con solo aspirina dopo il sesto mese. Al di fuori degli USA una strategia che prevede sin da subito la DAPT è quella più comunemente impiegata, nonostante tale scelta non sia supportata da studi clinici randomizzati, si tratta piuttosto di una sorta di “consuetudine” derivata da altre procedure di interventistica coronarica che però in questo setting risulta gravata, come ci suggeriscono i dati di real life, da un elevato tasso di eventi emorragici [1].

Su uno degli ultimi numerosi della rivista JACC sono stati recentemente pubblicati i risultati di un grande registro americano che ha esplorato questo argomento [2]. Nel registro sono stati inclusi oltre 53800 pazienti, sottoposti tra il 2020 ed il 2022 a chiusura percutanea dell’auricola con un dispositivo di seconda generazione, il Watchman FLX che ha ricevuto l’approvazione della FDA nel 2020 in seguito ai risultati di efficacia dello studio PINNACLE FLX (Protection Against Embolism for Nonvalvular AF Patients: Investigational Device Evaluation of the Watchman FLX LAA Closure Technology) ed in cui ai pazienti al momento della dimissione veniva prescritto un regime antitrombotico a base di anticoagulanti diretti (DOAC) più aspirina [3].

L’endpoint primario del registro è stato qualsiasi evento avverso maggiore (MAE) definito come morte per tutte le cause, ictus (ischemico, emorragico o di natura indeterminata), evento ischemico transitorio (TIA), emorragia intracranica, sanguinamento maggiore (definito come qualsiasi sanguinamento che abbia richiesto l’ospedalizzazione e/o la trasfusione e/o associato ad una diminuzione del livello di emoglobina >2 g/dL), embolia sistemica, complicanze vascolari maggiori, infarto miocardico, versamento pericardico che abbia richiesto intervento chirurgico o percutaneo, arresto cardiaco ed embolizzazione del dispositivo. Gli endpoint sono stati considerati a 45 giorni ed a 6 mesi. La presenza di DRT e di leak peri-device sono stati valutati soltanto nei pazienti sottoposti ad imaging nel follow-up.

Oltre il 75% dei pazienti è stato dimesso con un DOAC (DOAC più aspirina 48,3%, DOAC da solo 22,6%, DOAC più inibitore P2Y12 4,9%) e circa l’11% con il warfarin (warfarin più aspirina 7,7%, warfarin da solo 2,4%, warfarin più inibitore P2Y12 0,7%). Piccole percentuali di pazienti hanno ricevuto la singola terapia antiaggregante (SAPT) (2,6%) e lo 0,7% non ha ricevuto alcun trattamento antitrombotico. 

In merito alle caratteristiche della popolazione, l’età media è stata di 76 anni, il 41% sono state donne e i punteggi medi di CHA2DS2-VASc e di HAS-BLED sono risultati rispettivamente 4,8 e 2,4. I pazienti dimessi con DAPT, SAPT o terapia presentavo più frequentemente una storia di sanguinamento pregresso ed avevano livelli di emoglobina basale ridotti. I pazienti trattati con un inibitore del P2Y12 più anticoagulante avevano una maggiore incidenza di malattia vascolare e coronarica pregressa.

Per quanto riguarda, invece, i risultati, l’endpoint composito dei MAE a 45 giorni è risultato più alto nei gruppi warfarin più inibitore P2Y12 (5,8%), DAPT (4,5%) e SAPT (4,3%) e più basso nei gruppi DOAC da solo (2,4%) e warfarin da solo (2,6%). Un trend simile è stato osservato anche a 6 mesi, dove i tassi più alti di MAE si sono verificati nei gruppi warfarin più inibitore P2Y12 (15,2%), DAPT (11,7%) e SAPT (11,1%) e i tassi più bassi sono stati riscontrati nei pazienti che ricevevano DOAC da solo (8,0%) e DOAC più aspirina (8,9%).

L’evento avverso più comune è stato il sanguinamento maggiore, la cui incidenza a 45 giorni è stata più elevata nei pazienti in DAPT (3,1%), warfarin più aspirina (3,1%), DOAC più aspirina (2,7%), DOAC più inibitore P2Y12 (2,5%) e SAPT (2,4%). Allo stesso modo, a 6 mesi, i tassi più alti di sanguinamento maggiore si sono riscontrati nei pazienti trattati con DAPT (5,9%), warfarin più inibitore P2Y12 (5,6%), SAPT (4,8%), DOAC più aspirina (4,8%), SAPT (4,8%) e warfarin più aspirina (4,5%). Il sanguinamento maggiore ad entrambi i timing è stato più basso nei pazienti dimessi con DOAC da solo (45 giorni: 1,5%, 6 mesi: 3,7%) e warfarin da solo (45 giorni: 1,3%, 6 mesi: 3,9%).

I tassi di eventi ischemici cerebrali (ictus o TIA) a 45 giorni sono risultati più elevati nei pazienti a cui era stato prescritto warfarin più inibitore P2Y12 (0,9%) e DAPT (0,5%) e più bassi nei pazienti trattati con SAPT (0,2%) e DOAC, DOAC più aspirina e warfarin da solo (tutti 0,3%). A 6 mesi, i tassi più alti di ictus o TIA si sono verificati nei gruppi DAPT e warfarin più inibitore P2Y12 (entrambi 1,5%), mentre i tassi più bassi si sono verificati nei gruppi SAPT (0,7%), DOAC da solo (0,9%) e warfarin da solo (0,9%).

A 45 giorni circa il 79% dei pazienti è stato sottoposto ad un esame di imaging (69,8% TEE e 7,2% TC, con un piccolo numero di pazienti che hanno ricevuto entrambi gli studi di imaging). L’incidenza di DRT è risultata più elevata nei gruppi DAPT e SAPT (rispettivamente 0,8% e 0,9%).

L’analisi multivariata ha dimostrato che il regime di trattamento DOAC da solo rispetto al riferimento di DOAC più aspirina si associa ad un tasso significativamente inferiore di MAE (HR: 0,78; IC 95%: 0,68-0,91) e di sanguinamenti maggiori (HR: 0,69; IC 95%: 0,60-0,80) tra la dimissione e i 45 giorni. Questo risultato è  confermato anche a sei mesi (MAE: HR: 0,89; IC 95%: 0,81-0,99; sanguinamento maggiore HR: 0,77; IC 95%: 0,69-0,86).

Gli autori del lavoro hanno quindi concluso che in questo grande registro che ha arruolato oltre 53800 pazienti sottoposti a chiusura dell’auricola con dispositivo di seconda generazione, il tasso più basso di MAE si è osservato nei pazienti che hanno ricevuto DOAC da solo alla dimissione, risultato guidato da una incidenza minore di sanguinamenti. Anche il warfarin da solo ha mostrato un tasso più basso di sanguinamenti maggiori.

I risultati di questo grande registro suggeriscono, quindi, che nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare sottoposti a chiusura percutanea dell’auricola sinistra la migliore strategia antitrombotica rimane l’anticoagulante orale, mentre bisogna evitare l’aspirina che aumenta il rischio di sanguinamento senza proteggere dagli eventi tromboembotici. Sempre quasi paradossale che i pazienti dovrebbero, almeno nei primissimi mesi dopo l’intervento, assumere la terapia la cui controindicazione è uno dei motivi principali per cui si sottopongono a tale procedura. E’ per tale motivo che nel corso degli ultimi anni sono stati introdotti una serie di protocolli che prevedevano l’Impiego di DOAC a dosaggio ridotto (rivaroxaban 10 mg/die ed apixaban 2,5 mg per due volte al giorno) che hanno dato risultati incoraggianti in termini di protezione dalla trombosi del device, senza un incremento del rischio di emorragia. Inoltre, sono in corso una serie di studi clinici randomizzati che stanno testando in questo setting diversi regimi di terapia antiaggregante e anticoagulante; nell’attesa di questi risultati, probabilmente la strategia antitrombotica migliore rimane quella basata su un approccio tailored sul paziente bilanciando attentamente il rischio ischemico e quello emorragico.

Bibliografia di riferimento:

  1. Mesnier J, Cepas-Guillén P, Freixa X, Flores-Umanzor E, Hoang Trinh K, O’Hara G, Rodés-Cabau J. Antithrombotic Management After Left Atrial Appendage Closure: Current Evidence and Future Perspectives. Circ Cardiovasc Interv. 2023 May;16(5):e012812. 
  2. Reinhardt SW, Gibson DN, Hsu JC, Kapadia SR, Yeh RW, Price MJ, Piccini JP, Nair DG, Christen T, Allocco DJ, Freeman JV. Anticoagulation Alone vs Anticoagulation Plus Aspirin or DAPT Following Left Atrial Appendage Occlusion. J Am Coll Cardiol. 2024 Sep 3;84(10):889-900. 
  3. Kar S, Doshi SK, Sadhu A, et al. Primary outcome evaluation of a next-generation left atrial appendage closure device: results from the PINNACLE FLX Trial. Circulation. 2021;143:1754–1762.