La placca di plastica è più vulnerabile?

Scritto il 12/03/2024

La produzione di plastica è in costante aumento e lo sarà ancora almeno per i prossimi 25 anni.  La plastica inquina l’ambiente attraverso la contaminazione dell’acqua del mare, dell’aria e del terreno e si diffonde ubiquitariamente. Una volta rilasciata in natura la plastica è suscettibile alla degradazione con la formazione di “microplastiche” (definite tali se < 5 mm) e “nanoplastiche” (se < 1000 nanometri). Entrambe le particelle possono innescare effetti tossicologici. Numerosi studi hanno dimostrato che “microplastiche” e “nanoplastiche” (MNPs) possono entrare all’interno del corpo umano tramite ingestione, inalazione od esposizione cutanea e che, una volta all’interno dlel’organismo, esse possano interagire con organi e tessuti. MNPs sono infatti state trovate all’interno di placenta, polmoni, fegato, latte materno, sangue ed urina. Alcune investigazioni a livello subclinico hanno suggerito un possibile ruolo delle MNPs come fattore di rischio cardiovascolare attraverso l’attivazione di infiammazione, stress ossidativo ed apoptosi a livello dell’endotelio e delle cellule vascolari. A livello clinico, però, non ci sono ancora evidenze che mostrino che le MNPs siano in grado di infiltrare le lesioni vascolari o che supportino un’associazione tra il burden di MNPs e la malattia cardiovascolare. Per colmare tali lacune uno studio italiano recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine (1) ha valutato la presenza di queste sostanze nelle placche aterosclerotiche carotidee escisse chirurgicamente e l’eventuale associazione tra questa presenza ed un end point combinato di infarto miocardico, stroke o morte da ogni causa. In questo studio prospettico, multicentrico, osservazionale, i pazienti, di età compresa tra 18 e 75 anni e con stenosi carotidee extracraniche > 70%, asintomatiche, sono stati suddivisi in due gruppi in base alla presenza o assenza di MNPs nelle placche. Dopo la procedura di endoarterectomia carotidea i pazienti sono stati seguiti nel tempo per valutare l’incidenza degli eventi inclusi nell’end point combinato. 257 pazienti sono stati seguiti per un follow up medio di 33,7±6,9 mesi, 150 (58,4 %) hanno mostrato presenza di MNPs nelle placche, questi erano più giovani, preferibilmente maschi, meno spesso ipertesi, più frequentemente fumatori, ipercolesterolemici, diabetici e con problemi cardiaci e con valori di creatinina più elevati rispetto ai soggetti senza MNPs. Non vi era invece relazione tra area geografica di residenza e presenza delle particelle plastiche. Nei circa 3 anni di follow up uno degli eventi compresi nell’end point combinato (infarto miocardico, stroke o morte da ogni causa) si è verificato in 8 dei 107 soggetti senza evidenza di MNPs (2,2 eventi per 100 paziente/anno) e in 30 dei 150 pazienti con presenza di MNPs (6,1 eventi per 100 paziente/anno). I pazienti con MNPs nelle placche presentavano cioè un aumentato rischio di incorrere nell’end point con un hazard ratio di 4,53 (95% confidence interval [CI], 2.00 to 10.27; P<0.001). Da segnalare che le analisi di regressione lineare hanno evidenziato una correlazione tra la quantità di MNPs individuata nelle placche ed i livelli di espressione di alcuni markers infiammatori quali interleukin-18, interleukin-1β, interleukin-6 e TNF-α.

Ovviamente questi dati, per il momento assolutamente preliminari, non provano un nesso di causalità tra la presenza di MNPs e il peggioramento della prognosi. Non si può ad esempio escludere che queste particelle siano in realtà solo l’epifenomeno dell’esposizione ad altri, per ora non individuabili, fattori effettivamente responsabili della peggiorata evoluzione clinica. Ciò nonostante, però, lo studio del gruppo campano indubbiamente apre un nuovo ed interessante filone di ricerca e di studio delle caratteristiche delle placche aterosclerotiche.

Bibliografia:

  1. Marfella R, Prattichizzo F, Sardu C et al. Microplastics and Nanoplastics in Atheromas and Cardiovascular Events. N Engl J Med 2024;390:900-10