Il by-pass

Scritto il 08/04/2021

Quando le cure mediche dell’insufficienza corona¬rica non danno risultati soddisfacenti ed il trattamento percutaneo (angioplastica e stenting) non è praticabile è indicata la terapia chirurgica. L’intervento consiste nel by- pass, un “ponte” fra l’aorta e l’arteria coronaria al di là dell’ostruzione, in modo da ripristinare il flusso del sangue nella zona miocardica insufficientemente irrorata. Si tratta di un intervento palliativo che corregge le conseguenze ma non guarisce la malattia, realizzato per la prima volta nel 1967 dal dottor René Favaloro nella “Cleveland Clinic”. Le tecniche chirurgiche attuali consentono di operare arterie di calibro superiore ad un millimetro: il cardiochirurgo non può andare oltre questo limite. La coronarografia evidenzia la sede e l’entità delle lesioni coronariche: può mostrare una trombosi, cioè l’ostruzione completa di un punto dell’arteria coronarica, oppure una stenosi, cioè un restringimento di grado diverso. In questo caso la coronaria assicura una portata di sangue sufficiente alle esigenze del miocardio quando il cuore è in riposo, ma non quando è sotto sforzo. Il by-pass, il ponte che scavalca l’ostruzione, viene fatto con un pezzo più o meno lungo di vena safena (prelevato dalla coscia dell’ammalato immediatamente prima dell’intervento), che viene fissato da un lato all’aorta e dall’altro alla coronaria che deve essere irrorata. Perché l’intervento possa essere eseguito debbono coesistere più condizioni favorevoli.
– Il tratto di coronaria al di là dell’ostruzione deve essere in condizioni idonee al ripristino della circolazione sanguigna.
– Il miocardio deve essere in condizioni da assicurare una efficace funzione di pompa.
– Le condizioni generali dell’ammalato devono essere idonee. L’età ottimale va da 50 a 75 anni anche se molti sono stati operati prima dei 40 e anche dopo gli 80.

Il risultato più spettacolare del by-pass è la pressoché completa scomparsa delle crisi di angina pectoris nell’80 per cento dei casi. Il rischio operatorio è assai modesto; molti operati possono riprendere una vita normale. Non è stato ancora precisato con sicurezza se gli operati di by-pass oltre a vivere meglio vivono anche più a lungo. L’inconveniente che si incontra con maggior frequenza, evidenziato dai controlli coronarici successivi all’intervento, è l’occlusione della vena utilizzata per il “ponte”. Per ovviare a questo, a partire dalla metà degli anni ’70, si è cominciato ad utilizzare anziché la safena le mammarie interne, arterie che decorrono sul torace ai lati dello sterno. In questo caso viene eseguita una anastomosi da arteria ad arteria. L’utilizzazione dell’arteria mammaria presenta vantaggi e limiti Rappresenta un vantaggio il fatto che l’arteria è già presente nel torace, non deve essere trapiantata e richiede l’anastomosi da un solo lato e non da entrambi come la safena. Altro vantaggio è che essendo un’arteria va incontro ad alterazioni assai meno frequentemente del “ponte” fatto con la vena. Rappresentano un limite alcuni problemi tecnici e soprattutto il fatto che le mammarie sono due e consentono solo un numero limitato by-pass. C’è infine l’eventualità che il flusso di sangue delle mammarie non sia adeguato a quello del tratto di coronaria in cui vengono impiantate. Questo fa si che, nonostante i vantaggi, l’impiego delle mammarie sia in genere riservato ai casi di ostruzione della coronaria discendente anteriore e delle arterie diagonali.