Quello che i medici e i pazienti non vedono

Scritto il 03/12/2022

Non vedono, ma lo hanno immaginato, altrimenti non si spiegherebbe perché da molti anni essi vanno alla ricerca di un segno o di un esame che consenta loro la prevenzione delle temute malattie dell’età, dall’ipertensione all’infarto, dall’ictus ai tumori. Tutti sono programmati con il vaglio della visita medica di controllo, degli esami del sangue di routine e di molti altri marker; per il cuore dell’elettrocardiogramma a riposo e sotto sforzo, ed eventualmente l’ecocardiogramma. Ma nonostante queste precauzioni e altre più complesse che la moderna diagnostica ci offre, ci scappa sempre l’infarto inaspettato e pure il morto. Quando poi il cardiologo con i suoi cateteri o il perito settore nel corpo senz’anima vanno a verificare l’accaduto si trovano spesso di fronte a una malattia già avanzata che non aveva dato per anni o decenni segnali della sua progressione, era rimasta, come si dice, silente. A questo punto lo capisce anche lo studente alle prime armi che il logorio delle nostre arterie con l’età e con l’aiuto dei tanti fattori di rischio è lento, nei più fortunati lentissimo ma negli sfigati con sorpresa, durante la quale si può formare la famosa placca, che interrompe il silenzio e talvolta la vita.
Cosa si può fare per cogliere in tempo quel logorio e correre ai ripari? Oggi la moderna tecnologia diagnostica con le angiografie invasive, la TAC, la RMN e altri esami complessi è in grado di documentarlo, ma lo si dovrebbe fare precocemente, quando il futuro malato sta ancora bene, praticamente a tutti a partire da una certa età. Un impegno sanitario che farebbe tremare le finanze di ogni paese, anche di quelli a sanità avanzata. In Svezia ne hanno fatto uno studio campione (Circulation, sett. 2021) su oltre 30 mila persone dai 50 ai 64 anni per gli uomini e dai 60 ai 64 anni per le donne, sottoponendoli ad angiografia coronarica con tomografia computerizzata, una specie di autopsia virtuale, e alla ricerca di calcificazioni nelle coronarie. Goran Bergstrom e il suo gruppo dell’Università di Gothenburg, autori di questo studio siglato SCAPIS, hanno così osservato nei maschi un’aterosclerosi coronarica silente nel 42% di questi soggetti sani, con stenosi significative ma non ostruenti nel 5.2%, più gravi nel 2%; mentre nelle donne la comparsa di tali lesioni avviene 10 anni dopo e con un’incidenza quasi doppia rispetto agli uomini di 10 anni più giovani. Per quanto riguarda le calcificazioni, quando esse superano il punteggio di normalità quasi la metà mostra la presenza di stenosi coronariche significative.
Un risultato quindi che non ci sorprende, perché era nelle previsioni che il medico aveva maturato già da tempo. Ma che continua a lasciarci perplessi sul quid agendum, cosa fare in quei normali per non avere tante spiacevoli sorprese. Sarebbe utile conoscere almeno chi, sulla base della sua genetica e dei fattori di rischio (obesità, ipertensione, fumo, diabete, ecc.), rischia di più, e chi correggendo o meno quei fattori evita e di quanto la fatidica progressione dell’arteriosclerosi, o la aggrava. Si potrebbe in questo modo circoscrivere quelli a maggior rischio, poter intervenire su loro e, chissà, intervenire su tutti per una maggiore attenzione sul proprio status. Confido negli svedesi, oramai così curiosi di come ci ammaliamo, per completare le conoscenze e per far progredire la prevenzione.


Eligio Piccolo
Cardiologo